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La Storia del Louisiana

La storia del Louisiana Jazz Club è stata scritta, assieme a tutta la storia del Jazz a Genova, da Egidio Colombo, nel libro

"GENOVA IN JAZZ FRA STORIA E CRONACA"

Quest'opera, scritta da un protagonista che ha vissuto da protagonista buona parte della vicenda, è un testo ricco di notizie, foto storiche, disegni dell'Autore (oltre ad essere un ottimo musicista è anche un altrettanto valido pittore..... anche scrittore, ovviamente...) è in vendita all'interno del Jazz Club, per cui è possibile anche farsela autografare. Ne vogliamo leggere assieme due frammenti?

1998 Rinasce il Louisiana Jazz Club

.........nel febbraio 1998 accadeva un evento che avrebbe segnato un'altra tappa nella storia del jazz nostrano: il Louisiana Jazz Club riapriva i battenti in una propria sede, (dopo gli anni a Palazzo Ducale in Piazza Matteotti e all'ex Cinema Ritz in Corso Aurelio Saffi, n.d.r.) e dopo tre anni di "esilio errante" in vari contesti dell'hinterland cittadino. Da tempo una trentina di jazzmen genovesi (quasi tutti dilettanti) sentivano il bisogno di ricreare un centro di aggre­gazione ove poter riprendere un'attività regolare, disporre di una sala prove, ritrovare quello spirito associativo che il Louisiana aveva saputo stimolare per tanti anni. Successivamente allo sfratto dall'ex cinema Ritz le ricerche si erano orientate verso spazi che potessero contenere una sala concerto, alcuni locali per la sistemazione della scuola jazz e una zona ove poter collocare il Museo del Jazz, vecchio progetto di Giorgio Lombardi. All'entusiasmo iniziale subentrò una progressiva disillusione, soprattutto per i costi proibitivi di locali atti a soddisfare tali esigenze. Cosicché i tempi lunghi che si stavano prospettando indussero al­cuni musicisti a ridimensionare il problema e ad orientarsi verso una soluzione più modesta, cioè ricercare un locale di ridotte dimensioni da poter trasformare in un tipico jazz club, sull'esempio delle cave jazzistiche parigine.

 

In breve tempo, con la sottoscrizione di trentotto quote, venne raggiunta una cifra ritenuta sufficiente per poter affrontare la spesa della metà del valore d'acquisto di un locale del genere: il resto poteva essere affrontato con l'accensione di un mutuo (estinto nel novembre 2008, n.d.r.). Dopo diversi con­tatti e sopralluoghi in vari siti del centro storico, compiuti da Fausto Rossi, Giancarlo Bianchi e dallo scrivente, mandatari del gruppo di musicisti, la scelta cadde su alcuni locali di Via San Sebastiano 36 R (ex magazzeni ISSEL).

 

«La decisione di comperarli fu dettata dal desiderio di svincolarci una volta per tutte dal rischio sfratto, ma anche dall'intendimento di investire in qualche modo i nostri quattrini anziché sperperarli in affitti esosi» spiegò Fausto Rossi, che aveva riassunto la carica di presidente. «Non avrei mai pensato di riuscire a raccogliere oltre centoventi milioni di lire in così poco tempo, considerando che siamo genovesi...».

 

Venne creata l'Associazione Jazz House, con l'avvocato/sassofonista Aldo Toriello alla presidenza, la quale - a termini di statuto - concesse i locali al Louisiana Jazz Club in comodato gratuito.

 

I lavori di ristrutturazione durarono tre mesi e furono interamente realizzati da volontari, quasi tutti appartenenti al novello consiglio direttivo. Il nuovo Louisiana si affiliò prima all'ENDAS e poi alla FITEL, assumendo lo status di "circolo culturale senza scopi di lucro" e recuperando la primitiva caratteristica di ribalta per jazzisti nostrani e "palestra" per giovani emergenti. Ben presto si ritrovarono vecchie e giovani leve, si rinsaldarono antiche amicizie, sorsero nuovi gruppi, talché si rese necessario elaborare una programmazione che prevedesse due serate di apertura settimanale.

 

Il nuovo Louisiana inaugurava la stagione il 7 febbraio 1998, con un concerto all'insegna del jazz classico con Rossi, Capobianco, i due Colombo, Battelli, Cantalini e, ospite da Milano, il pianista Rossano Sportiello e per due serate alla settimana (giovedì e sabato) vi siavvicendavano gli undici gruppi che avevano contribuito alla sua rifondazione: i Fausto Rossi Jazzmen, i Galata Street Swingers, il Columbus Clan, i New Orleans Stompers, il Giorgio Martini Group, i Mississippi Minstrels, il Giuly Jazz Combo, il Dani Lamberti Jazz Group, il Guitar Ensemble, i Barracuda Swingers, la Bourbon Street Company e il pianista Alessandro Testa, ai quali si aggiungevano in un secondo tempo il trio della vocalist Betty Ilariucci (con il pianista Guido Bottaro e il sasso­fonista Paolo Pezzi); il complesso guidato dal sassofonista Micky Cesareo (Andrea Sotgiu al pianoforte, Roberto Bartucci alla chitarra, Russel Branca al contrabbasso, Piero Buffarello alla batteria); la Hammond Band (Alessandro Muda all'organo Hammond, Sergio Aulicino al basso elettrico, Mario Poggi alla batteria, Federica Accomazzo al canto); i Nine Pennies con Mario Levreri (trombone), Arnaldo Ruggeri (tromba), AntonioMaffezzoni, Marco Santagata, Luigi Romanelli (sassofoni), Armando Biggi (pianoforte), Gianfranco Mignone (chitarra), Roberto Resaz (contrabbasso), Elio Balsamo (batteria); il Duo Co­lombo, un quintetto che agì per breve tempo (con Claudio Capurro al sax contralto, Luciano Coruzzi al pianoforte, Alberto Malnati al contrabbasso, Rodolfo Cervetto alla batteria e Vittorio Scapin al canto) e il Duo Bluesy (con la cantante Gregoriana Somazzi e il chitarrista Manuel Aiachini).........                                                                                             

  Egidio Colombo "Genova in Jazz fra storia e cronaca"

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1964 Nasce il Louisiana Jazz Club

...........nel settembre del 1964, su iniziativa del trombettista Fausto Rossi (1) e del banjoista Carlo Besta apre i battenti un locale che, nell'intendimento dei fondatori, doveva essere un punto di aggregazione di musicisti ove poter suonare, ascoltare dischi, sfogare la propria passione per il jazz tradizionale. Si trattava di una casupola in muratura, coperta da lamiere ondulate, posta all'interno di un cortile attorniato da alcuni vecchi caseggiati di Via Galata. «All'inizio eravamo più musicisti in pedana che ascoltatori in sala» riprese Fausto Rossi, che essendo il più anziano venne soprannominato "Papa" Â«ma noi non ci scorag­giammo e, dopo qualche mese, c'erano già tre complessi stabili che si alternavano ogni venerdì sera. Grazie all'apporto di un gruppo di volontari, musicisti e non, il locale cominciò a decollare. Mia moglie e la moglie di Besta (Ines Mattia e Paola Roncallo, n.d.a.) stavano alla cassa e curavano il tesseramento dei soci. Gestivano anche un piccolo bar che consisteva in un vecchio frigo a pozzetto con due o tre tipi di bibite, tra cui della birra, naturalmente. Io pensavo all'amministrazione e ai contatti con SIAE, ENPALS e Uffici Comunali... Poi c'erano i lavori di allestimento e la manutenzione periodica che erano di tua competenza. Ti ricordi quanta fatica per insonorizzare i locali?» (2).

 

Purtroppo sorsero quasi subito problemi di convivenza con i condomini: il vicinato, poco sensibile alla musica jazz manifestava spesso la propria insofferenza e verso le undici di sera, ma anche prima, qualcuno cominciava a gettare oggetti sul tetto della baracca per indurre i musicisti a smettere di suonare (a volte gettavano anche bottiglie di vetro e pezzi di mattone). I ragazzi del Louisiana dovettero ricorrere ai ripari tappezzando muri e soffitti con stuoie di canna, vecchie coperte di lana e tantissimi contenitori di uova, che, tuttavia, non risolsero del tutto il problema e, nelle serate di maggior intensità sonora, su denuncia dei vicini, arrivavano puntualmente vigili urbani o poliziotti che imponevano la cessazione dei concerti per le 23 o poco più. «C'era qualche vigile che veniva in anticipo e stava a sentirci per un pò. Quando poi doveva ordinarci di smettere lo faceva con aria visibilmente dispiaciuta» sottolineò Rossi.

 

Le prime stagioni vennero rette dai tre gruppi stabili rinforzati ogni tanto da qualche ospite e i musicisti, come del resto succede ancor oggi, non percepivano alcun compenso, salvo rimborsi spese per coloro che venivano da fuori. I gruppi in questione erano: i Louisiana Shakers del trombettista Fausto "Papa" Rossi; i Galata Street Harmony Kings, diretti dal trombettista Maurizio Burdese e il Genoa Banjo Clan fondato da Aldo Aroasio e dallo scrivente Egidio Colombo. I Louisiana Shakers, nati nell'estate del 1964 sull'onda di quel New Orleans Revival che aveva i suoi alfieri nel trombettista Bunk Johnson e nel clarinettista George Lewis, si rifacevano allo stile dei vecchi musicisti di New Orleans che suonavano alla Preservation Hall, tra gli anni Cinquanta e Sessanta: «Ci avvinceva il loro modo di interpretare il jazz della tradizione e alcuni di noi avevano trascorso brevi soggiorni in quella città, assaporando di persona quelle magiche atmosfere».

 

Maurizio Burdese, invece, era appassionato di quel jazz di mezzo che caratterizzò gli anni Trenta e aveva dato un'impronta più moderna ai suoi Harmony Kings ispirandosi al Kansas City Style e ai piccoli complessi di Count Basie. Mentre il Banjo Clan, un originale complesso con tre banjos alla front line, reinterpretava brani classici con l'intendimento di coniugare la tradizione di New Orleans e lo stilema chicagoano con il sound dello string-jazz europeo (2).

 

Qualche tempo dopo si presentava al Louisiana una vecchia conoscenza del jazz genovese, il pianista Armando Corso, il quale si proponeva come solista ed entrava a far parte della scuderia di Via Galata. Nel frattempo saliva alla ribalta Giorgio Lombardi, segretario tutto-fare che assumeva l'incarico di direttore artistico, iniziando contemporaneamente l'attività di critico musicale che lo portò, in breve tempo, ad essere considerato il più qualificato in Italia nel campo del jazz classico. La notorietà del Louisiana cominciò a crescere allorché - grazie all'attività manageriale del trombonista milanese Luciano Invernizzi (3) - cominciarono a confluire in Italia e quindi anche a Genova, vecchie glorie della Preservation Hall di New Orleans che, nel locale di Via Galata, venivano accompagnate dai Louisiana Shakers e dallo stesso Invernizzi. E il segretario del club, Giorgio Lombardi, pubblicizzando e recensendo i concerti sulla stampa cittadina e sulle riviste specializzate, contribuiva in maniera determinante a far conoscere l'attività del club oltre i confini cittadini. «Avevo cominciato a scrivere sul "Corriere Mercantile" e mandavo resoconti alle riviste 'Ritmo' e 'Musica Jazz'» dichiarò Lombardi. Â«La fama del Louisiana aumentò progressivamente e in capo a due o tre anni raggiunse un livello nazionale» (4). Il primo personaggio importante fu il trombonista creolo Louis Nelson (già apparso al Louisiana l'anno precedente con la formazione del batterista inglese Barry "Kid" Martyn) che lasciò di sé un ricordo indimenticabile (è stato il primo contatto dal vivo col jazz dell'attuale presidente, che, allora quindicenne, non aveva in tasca l'intera somma del biglietto, 250 lire, ma ha usufruito di uno sconto...n.d.r.). Per l'occasione furono organizzate alcune "uscite" e i tre complessi stabili del jazz club fecero da cornice all'illustre ospite in manifestazioni appositamente organizzate nell'area ligure-piemontese, tra cui un memorabile concerto al Politeama Genovese (31 maggio 1967). A Nelson seguirono altri ospiti provenienti da New Orleans, tra cui John "Captain'Handy, Kid "Sheik" Cola, Andrew Morgan, Emanuel Sayles e noti revivalisti europei come Sammy Rimington, Barry Martyn, Teddy Fullik, Rudy Balliu, sempre accompagnati da Fausto Rossi e i Louisiana Shakers.

 

L'opera promozionale e divulgativa di quel periodo cominciò a coinvolgere altri musicisti e il Louisiana diventò ben presto un centro di aggregazione (l'unico a Genova) nell'ambito del quale i jazzmen locali trovavano stimoli per costituire nuove formazioni.

 

Iniziò Lucio Capobianco che, pazientemente, rimise in piedi una nuova Riverside Syncopators Jazz Band e inaugurò la stagione jazzistica 1967/68 con Enzo Lotti e Cesare Vezzi alle trombe, lo scrivente Egidio Colombo al banjo, Francesco "Kiki" Valle al pianoforte, Sergio Pavone al contrabbasso e Giorgio Montaldo alla batteria. Lo seguì il pianista Flavio "Gasìa" Crivelli (con un passato di jazzista nell'Hot Club di Savona, dove già nella seconda metà degli anni Quaranta animava serate jazzistiche con il sassofonista Renzo Monnanni e il batterista Gino Bocchino) che fondò il Quintetto Swing, con Capobianco al trombone, Aldo Aroasio alla chitarra (in seguito sostituito da Alex Armanino), Sergio Pavone al contrabbasso e Gino Cori alla batteria. Crivelli si era diplomato al Conservatorio di Parma ed aveva iniziato l'attività di musicista con l'orchestra di Carlo Zeme, suonando al fianco di Nunzio Rotondo, Glauco Masetti, Carlo Milano, Cesare Marchini. Lasciato il professionismo approdò in seguito al Louisiana, nell'ambito del quale cominciò a svolgere anche un'intensa attività didattica.

 

L'accoppiata Riverside/Quintetto Swing si esibì per un paio d'anni in locali cittadini e nel circuito dei Circoli Italsider dell'Italia settentrionale, riscuotendo ottimi con­sensi di pubblico e di critica, così come il Genoa Banjo Clan, che si faceva apprezzare per «...le esecuzioni brillanti negli 'stacchi' e 'struggenti' nei cori, nonché per la tecnica dei banjo-solisti, la preparazione e la cura posta negli arrangiamenti» ("II Lavoro", 3 settembre 1966). Nel luglio del 1967, alla Rassegna Nazionale dei Cineamatori, a Cattolica, il Clan veniva premiato per la realizzazione del miglior commento musicale.

 

Nel 1968 il Louisiana collaborò con l'Estoril di Corso Italia e organizzò una serie di se­rate intitolate At The Jazz Band Ball, con tutte le formazioni del momento: Galata Street Harmony Kings, Genoa Banjo Clan, Louisiana Shakers, Quintetto Swing e Riverside Syncopators Jazz Band, ma l'esperimento, nonostante le buone premesse, ebbe vita breve.

 

I Galata intanto affinavano il proprio stile e maturavano un notevole affiatamento cosicché, dopo una prima registrazione che propiziava l'incisione di un 45 giri, agli inizi del 1969 si sentivano pronti per incidere un LP (5). Il disco, presentato da Giorgio Lombardi, venne accolto favorevolmente dalla critica specializzata: «Chi ama il jazz è capace di imprese impensate, per via di quel sacro fuoco che gli brucia dentro. Un gruppo di musicisti di Genova, che sono soliti riunirsi in un club di Via Galata, dalle parti di Brignole, ha saputo mettere in circolazione un intero microsolco che non scimmiotta né gli arcaismi degli anni Venti, né le mode degli anni Sessanta, ma cerca di rievocare quell'atmosfera distesa e spensierata che fu propria della swing era e del cosiddetto jazz di mezzo. Ãˆ, in fondo, un atteggiamento assai più credibile, da parte di chi non ha altre ambizioni di quelle, legittimissime, di divertire sé stesso e gli altri. E questo disco, affidato alla speranza, ha in sé qualcosa di fresco e di spontaneo che si fa caldamente raccomandare» (Gian Mario Maletto, "Musica Jazz", marzo 1970). «La registrazione per noi era buona, ma eravamo in apprensione in attesa della critica» confessò Burdese Â«sai, quelli di 'Musica Jazz' non erano tanto teneri con chi suonava jazz classico. Gli elogi di Maletto ci diedero la carica e gli stimoli giusti per continuare...» (6).

 

 

Intanto era maturata un'altra iniziativa: il contrabbassista e arrangiatore Carlo Casabona era riuscito nell'intento di formare una big band, arricchendo ulteriormente il panorama jazzistico cittadino. Su "II Secolo XIX", dell'11 dicembre 1968, Mauro Manciotti commentò il debutto della nuova compagine in questo modo: «Un'autentica sorpresa, di cui gli esperti di "Musica Jazz" sapranno valutare tutta la portata, è stato il battesimo di una big band genovese. Quattordici elementi, con sezioni piene, hanno costituito, infatti, la Kansas City Ambassadors, che si è esibita per la prima volta al Louisiana Jazz Club, suscitando un ben meritato entusiasmo. Affiatamento, preparazione, ottima qualità del sound, sostenuto treno ritmico, ha portato in luce questo complesso a grande organico, nelle cui file non mancano altresì temperamenti di spiccato carattere solistico...» (7). Purtroppo questo sodalizio ebbe vita breve. Venne rilevato da Dani Lamberti (che, nel frattempo, aveva ricostituito il Quintetto Moderno di Genova) il quale, rimpastando l'organico per far fronte alle defezioni intervenute, costituì, una nuova formazione intitolata Dani Lamberti Big Band, che debuttò al Louisiana il 29 ottobre 1970 (8).

 

Un paio d'anni prima Adriano Mazzoletti aveva realizzato una trasmissione radiofonica che si prefiggeva di scoprire nuovi arrangiatori di jazz. A dirigere l'orchestra della RAI di Roma venne incaricato Giancarlo Gazzani, il quale chiamò Lamberti a partecipare con un suo arrangiamento di Four, di Miles Davis (la cui registrazione fu inserita nel doppio LP 30 Anni di Jazz a Genova, nel 1984). La trasmissione andò in onda il primo maggio 1968. "Musica Jazz" ne fece cenno nel numero di giugno 1968: «...Un fatto notevole di questa stagione di concerti è stato la presentazione di tre grosse orchestre: quella della RAI (ex orchestra Ferrari), quella francese, di Jean Claude de Naude e la romana Swinging Dance Band. L'orchestra della Rai, diretta da Giancarlo Gazzani, che promette di diventare un brillante bandleader, ha voluto presentare nuovi arrangiatori che sono, lo stesso Gazzani, Antonello Vannucchi, Giancarlo Schiaffini, Cicci Santucci e Daniele Lamberti, un genovese che ha seguito per corrispondenza il corso della Berklee School. Questi giovani hanno affrontato con molto impegno la fatica di una partitura per grossa orchestra, anche se con risultati diversi. È assai lodevole comunque aver aperto una porta ai nuovi arrangiatori...». Successivamente, (18.5.68) in occasione della Prima Rassegna di Musica Jazz di Venezia, tenutasi al Teatro La Perla del Casinò Municipale di Venezia Lido, a tema "Omaggio a Gershwin", Gazzani, che vi partecipò con la sua big band, chiamò ancora Lamberti a collaborare. Giancarlo Gazzani può essere considerato un genovese d'adozione in quanto fa parte della schiera di jazzisti che hanno effettuato i primi passi a Genova, città nella quale torna sempre volentieri. Diplomatosi al Conservatorio Paganini in trombone, iniziò gli studi di composizione e successivamente si trasferì a Roma, ove esercita, tra l'altro, la professione di arrangiatore. È direttore d'orchestra e maestro concertatore (la sua attività si svolge sia in campo jazzistico sia in quello della musica classica). In estate è attivo in seminari di composizione e arrangiamento per big band a Siena Jazz (in occasione dei quali continua a commissionare arrangiamenti a Lamberti). Nel marzo del 1969 anche i Louisiana Shakers, dopo un primo esperimento, con un 45 giri, si cimentarono nella incisione di un microsolco (Everybody's Talkin, edizioni Rusty), approfittando della venuta di uno dei "vecchietti" di New Orleans: Andrew Morgan. Si tratta di una registrazione effettuata nella casupola di Via Galata, in parte dal vivo, che venne recensita da Franco Fayenz. Il noto critico espresse giudizi positivi nei confronti della band, apprezzando «...il feeling di Barry Martyn, il 'rude' trombone di Luciano Invernizzi e il banjo popolaresco di Carlo Besta...», ma non fu altrettanto benevolo con l'ospite Andrew Morgan, che non riteneva all'altezza dei jazzisti genovesi ("Musica Jazz" del gennaio 1970) (9).

 

 

NOTE

(1)     Intervista concessa all'autore nel novembre 1992.

(2)    Le formazioni tipo di quel periodo erano le seguenti: Louisiana Skakers: Fausto Rossi alla tromba, Raffaele "Lello"Mango al clarinetto, Renzo Spinetti al trombone, Chicco Orelli e, in seguito, Tonino Dodero al pianoforte, Carlo Besta al banjo, Emanuele La Torre e, in seguito, Silvano Todaro al contrabbasso e Franco Cantalini alla batteria; Galata Street Harmony Kings: Bebo Saint-Pierre al sax, Gianni Sorgia al trombone, Mimmo Capurso al pianoforte, Silvano Todaro al contrabbasso, Piero Beretta alla batteria; Genoa Banjo Clan: Egidio Colombo e Tonino Dodero ai tenor banjos, Aldo Aroasio al plectrum banjo e la medesima ritmica dei Galata, che in seguito venne soppiantata da Francesco "Kìki" Valle al pianoforte, Sergio Pavone al contrabbasso e Sergio Musso alla batteria.

(3)    Invernizzi era il fondatore e direttore della Bovisa New Orleans Jazz Band di Milano.

(4)    Intervista concessa all'autore nell'ottobre del 1994.

(5)    La formazione era così mutata: Burdese alla tromba, Gianni Sorgia al trombone, Franco Astuti al sax tenore, Mimmo Capurso al pianoforte, Luciano Milanese al contrabbasso e Piero Beretta alla batteria.

(6)    Intervista concessa all'autore nell'aprile del 1989.

(7)    Gli Ambassadors della big band provenivano, in buona parte, da altri gruppi del Louisiana e l'organico risultava così composto: Fausto Rossi, Enzo Lotti, Cesare Vezzi e Maurizio Burdese alle trombe, Lucio Capobianco e Gianni Sorgia ai tromboni, Franco Astuti, Gianni Oddi, Luigi Travi e Franco Zambelli ai sassofoni, Giovanni Todeschini al pianoforte, Alessandro Armanino alla chitarra, Carlo Casabona al contrabbasso e Giorgio Facchini alla batteria.

(8)    La big band era così composta: Marino Cosimi, Cesare Vezzi ed Enzo Lotti alle trombe, Lucio Capobianco e Mario Levreri ai tromboni, Luigi Travi, Ugo Priarone,Gianni Oddi (poi sostituito da Franco Zambelli) e il leader Dani Lamberti ai sassofoni, Flavio Crivelli al pianoforte, Alessandro Armanino alla chitarra, Sergio Pavone al contrabbasso e Giorgio Armanino alla batteria.

(9)    La formazione era la seguente: Fausto Rossi alla tromba, Luciano Invernizzi al trombone, Lello Mango al clarinetto, Andrew Morgan al sax tenore e clarinetto, Tonino Dodero al pianoforte, Carlo Besta al banjo, Carlo Casabona al contrabbasso e Barry Martyn alla batteria.

 

 

 

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